LA STORIA DELLA NOSTRA FAMIGLIA
DA QUATTRO
GENERAZIONI
Fu ad Ariccia,nel 1947, secondo la Tradizione Familiare, che Empedocle Leopardi detto “Pepparone”, riprese a produrre la porchetta e a venderla al dettaglio con un chiosco ambulante. La tradizione di Famiglia prosegue con Francesco Leopardi, figlio di Empedocle, che continua a produrre la porchetta vendendola sempre al dettaglio.
Con Ivo Leopardi, tradizione e qualità continuano, nel frattempo comincia ad aumentare la produzione, portandola dalla vendita al dettaglio all’ingrosso, fino ad oggi, con Giorgio Leopardi (Figlio di Ivo Leopardi), che ha sviluppato l’Azienda Artigianale in grado di sostenere anche le richieste della Grande Distribuzione Organizzata.
Una Tradizione che affonda le sue radici nel passato, guidata verso il futuro da innovazione e qualità.
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LA STORIA DI ARICCIA UN TERRITORIO UNICO NELLA SUA CULTURA
E TIPICO PER LA PRODUZIONE DELLA PORCHETTA DI ARICCIA IGP
DOVE FONDA LE RADICI LA FAMIGLIA LEOPARDI....
Aricia venne fondata in epoca imprecisata, senz'altro prima di Roma: l'erudito seicentesco Filippo Cluverio ipotizza (non si sa con quali fondamenti) la data del 2752 a.C., mentre la tradizione antica ha fatto risalire la fondazione della città al figlio del mitico fondatore di Atene Teseo, Ippolito detto Virbio, o al comandante siculo Archiloco.
In seguito Aricia fu un'importante città della Lega Latina: durante la riunione della Lega Latina tenutasi presso il Locus Ferentinum nel 651 a.C. fu il delegato aricino Turno Erdonio ad opporsi violentemente a Tarquinio il Superbo, che lo fece uccidere; nel 505 a.C. l'esercito aricino alleato con l'esercito greco di Cuma vinse la battaglia di Aricia contro l'esercito etrusco del figlio del lucumone di Chiusi Porsenna, Arunte; nel 338 a.C., infine, disciolta definitivamente la Lega Latina, Aricia ottenne la piena cittadinanza romana.
Il territorio aricino fu attraversato a partire dal 312 a.C. dalla via Appia Antica, la "regina viarum", voluta dal censore Appio Claudio Cieco come collegamento diretto tra Roma e Capua, porta della Campania. In seguito la strada fu migliorata (il tratto di una ventina di chilometri tra Roma e Bovillae fu pavimentato in "saxum quadratum" nel 293)e prolungata fino a Benevento e poi a Brindisi, porta della Grecia: Aricia era la prima mansio ("stazione di sosta") lungo la via Appia proveniendo da Roma.
La decadenza della città è probababilmente da collocare dopo il sacco di Roma del 410 da parte dei Visigoti di Alarico, anche se la vita cittadina continuò fino alla metà del V secolo: il colpo definitivo alla città fu rappresentato dalle incursioni dei Saraceni, iniziate nell'846 e terminate solo nel 916.
Vallericcia, particolare di un arco antico appartenente alla città di Aricia affiorante lungo il tracciato della via Appia Antica.
Con il progressivo abbandono di Aricia andò consolidandosi il nuovo abitato posto sul colle dell'antica acropoli aricina, e del moderno centro storico: alla fine del X secolo l'abitato risulta sotto il dominio dei Conti di Tuscolo, la potente famiglia baronale romana che aveva la propria roccaforte presso la vicina Tusculum e che esercitò il proprio strapotere su Roma tra il 999 ed il 1179 attraverso il "papato di famiglia". L'egemonia tuscolana iniziò ad estendersi sui Colli Albani alla fine del X secolo, dato che nel 981 uno Stefano dei Conti di Tuscolo risulta già esercitare la propria signorìa su Ariccia e Velletri: a Marino invece i tuscolani si erano eretti una piccola fortificazione nel sito dell'attuale Palazzo Colonna, nel territorio di Grottaferrata avevano costruito Castel de' Paolis e, nel 1004, fondarono sui propri terreni l'abbazia di Santa Maria di Grottaferrata. Controllavano inoltre gran parte dell'area prenestina fino a Zagarolo, Palestrina e Genazzano, grazie ai terreni concessi loro da diversi "papi di famiglia" a partire dal X secolo, quando i tuscolani si erano sostituiti alla decaduta casata dei Crescenzi nel controllo dell'Urbe e del papato.
Pare che papa Niccolò II (1058-1061) tolse Ariccia ai Conti di Tuscolo, poiché nel 1116 papa Pasquale II poté disporre del feudo personalmente, donandolo a Tolomeo dei Conti di Tuscolo per accativarlo alla propria causa durante la guerra contro i Pierleoni. Dopo la caduta in disgrazia dei Conti di Tuscolo e la distruzione della loro roccaforte nel 1191, il feudo di Ariccia fu governato dalla famiglia Malabranca, imparentata alla famiglia Guidoni, che era probabilmente un ramo della famiglia dei Conti di Tuscolo originario di Velletri. Ad ogni modo, nel 1223 i Malabranca vendettero il feudo a papa Onorio III per 2000 provisini, ed Ariccia rimase probabilmente sotto il possesso della Camera Apostolica benché sia stata occupata brevemente manu militari dalla famiglia Savelli, che per legittimare il proprio possesso sul feudo millantarono una donazione del 964 fatta dall'imperatore Ottone I del Sacro Romano Impero in favore di Virginio Savelli.
Nel Trecento Ariccia fu praticamente spopolata, e nel 1399 il "tenimentum Ritiae" risulta annesso alla castellanìa di Genzano di Roma, anch'essa possedimento della Camera Apostolica. Nel Quattrocento si perdono le traccie del feudo, che nel 1463 risulta sotto il "pieno dominio" dell'abbazia di Santa Maria di Grottaferrata. Il cardinale Giuliano della Rovere, eletto nel 1503 papa Giulio II, abate commendatario dell'abbazia criptense, nel 1473 siglò con Mariano Savelli la permuta del "castrum dirutum" di "Ritiae" con le case in rovina, Vallericcia e tutte le attinenze e dipendenze in cambio del Borghetto di Grottaferrata: iniziava così la dominazione feudale dei Savelli su Ariccia.